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giovedì 1 marzo 2012

zero

Battito sincopato nella stasi ipnotica delle voci basse. Un presentimento che avesse un colore, ora, con la luce diffusa che te lo incorpora dieci centimetri dietro gli occhi, lo sapresti declinare in notazione esadecimale ma dargli un nome, un nome è l'ultimo attributo che l'inutilità di questa semantica ostile legittimamente o meno mi nega. Nove sezioni della cupola celeste per un fine febbraio di inizio ad alto contrasto nella dissolvenza che sta consegnando il giorno a quello dopo. Caducità di un solipsismo.
Le temperature che t'aspetti a queste altitudini in queste stagioni ti restituiscono quel vuoto emotivo unica risposta a cosa su-cederà all'insulso qui e ora già allora. Magari, altrove. Negli sguardi immobili attorno nessuna traccia della condivisione di una disperazione qualsiasi. Un cielo che ormai ci unisce solo in questa rassegnazione. Il rumore basso continuo elettrico di qualche macchinario enorme che muove ingranaggi invisibili ma vicini dà voce alle ossature degli alberi spogli nel parcheggio deserto. La vita che si riproduce a venti metri dai tralicci dell'alta tensione.
Trattengo il pianto alla base del naso, lo sento spingere alla periferia oculare e stringo i denti per chiamarlo indietro. Pensi alla ciclicità e alla normalità con cui certe cose girano da millenni nello stesso verso e quanto rasenta il ridicolo quella lettura da contesto di eccezionalità imposta dal momento in cui la vivi a livello epidermide. Ma un'interpretazione oggettiva era da chiederla dieci caffè, centinaia di pagine e una rotazione terrestre fa, quando ancora ci guardavamo emozionati. Poi preoccupati. Ora lottiamo contro la lentezza delle lancette, quanto ci vorremmo oltre. Dopo. Quanto. Uno strazio che spero ricorderai per dimenticare il dolore. L'hai già fatto per entrambi, con quanto hai in braccio ora. Io, dal lato forse giusto forse sbagliato della parete, aspetto di abbandonare ogni contegno fuori dall'uscita di sicurezza per farlo.
Lo sconforto dell'alba dalle scale di emergenza. La neutralità della corsia vuota intrisa di neon che ignorano il chiarore che sta scoppiando su dall'Adriatico. Ti consegnano a questo mondo col sole che ancora non riscalda ma cresce. Boccheggi nell'hardware di vetro, lo sforzo di schiudere quei tagli lunghi per stupirti di quelle manine e io non vorrei dirtelo che quell'utero è stata l'ultima strada in discesa che da qui in avanti percorrerai. Una lama la prima immagine del mondo emerso, una metafora che non sposta di così tanto il significato. Il cuore è il primo organo che si attiva, l'ultimo che si ferma. La forma convessa delle nuvole ad arrotolarti la volta sopra il giorno zero. L'inizio perde importanza quando la fine è così lontana, della fine perdi memoria quando approda in un nuovo inizio.

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