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mercoledì 9 giugno 2021

cicatrici

Una riunione di lavoro come tante, come tutte, con il suo carico di sospensione temporale nell'inutilità dell'insignificanza dell'oggetto. Lo sguardo che di nascosto si rifugia dal cielo bianco ai tetti agli alberi in cerca di ossigeno. Il mio corpo a un metro da me.
Nulla che valga la pena notare, nulla che valga la pena ricordare. Solo procedura. Gli occhi veloci cercano rimedio al sonno del pomeriggio che si trascina stanco. La luce opaca del cielo di maggio sfonda le pareti.

Poi quella mano sinistra, la tua mano sinistra. Sono mesi che lavoriamo assieme, il distanziamento non c'è mai stato se non forse il primo giorno, ma mi sembra sia questa la prima volta che la vedo, la tua mano. Di sicuro, la prima volta che la noto. I movimenti da teatrante, le dita forti ma delicate, aperte, la pelle chiara e le curve sinuose.
Quella cicatrice sul dorso. Lunga, dritta, profonda, bianca. Un taglio, di sicuro. Mi sembra di sentirne il dolore della carne squarciata. Vorrei conoscerne la storia, vorrei chiederti di raccontarla. Perché ci rivedo le mie, di cicatrici. Ci rivivo quella sofferenza.

In questa situazione di passaggio, in cui me ne resto come un operaio qualsiasi che non ha a cuore né lavoro né clienti e si limita alla mera ripetizione di movimenti estranei su un macchinario che non gli appartiene, questa cicatrice la porterò come un ricordo.

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