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martedì 5 luglio 2011

fiona, una storia di abbandono


Fiona batte bandiera maltese quando, con le ultime gocce di gasolio, l'armatore estone ordina agli undici dell'equipaggio il rifornimento al porto di Ancona. Salpati da Ravenna, restano a secco prima del gomito dorico. Rimorchiata e condotta al molo nord, Fiona non trova né carburante ad attenderla né denaro per tornare a casa. E' il 2009, l'armatore di Tallin scompare e i 72 metri da carico con i suoi russi e ucraini e estoni a bordo sono abbandonati all'ombra dell'arco di Traiano.
C'hanno messo due mesi a rimpatriare, i marittimi. Ma Fiona è ancora lì, arrugginita in un infinito fin di vita al molo nord.

Ci passavo ore a fissarla dal Guasco, in quelle ore inutili ipnotizzato dall'angolo giro di blu. Quel relitto senza più bandiera né vita abbandonato dall'armatore, dall'equipaggio, dai terrestri. Abbandonato al mare e ai gabbiani in attesa di affondare.
E non l'ho mai saputa tradurre in pensiero quella sensazione che arrancava tra una costola e l'altra quando io e Fiona ci fissavamo, ma ritrovarla nelle stesse acque, oggi, sola con le sue lamiere, in quel porto dove ho lasciato ore del mio sgardo e centimetri cubici di apparato circolatorio, mi ha trafitto come anni fa. Per quell'abbandono. Per quella dignità con cui aspetta una morte che dubito mano umana le consegnerà. Per quel mare che le sta allungando le dita addosso. Per la controfunzionalità di un pezzo di metallo modellato non per galleggiare ma per tagliare le acque.
Perché dai confini occidentali della regione, dove le nuvole sono tanto basse e veloci, dove l'orizzonte frastagliato scuro attacca il suolo al cielo e ti chiude in una sfera senza tempo, dove arrivano su strada ferrata i container che Fiona trasportava, da qua penso ancora a quei 72 metri da carico sulle sponde dell'Adriatico. Così, magari quell'abbandono, a Fiona, l'ho infranto. Ma non posso chiederle altrettanto.

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