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giovedì 13 gennaio 2011

quanto non mi sei mancata

Quando m'hai lasciato a piedi nei meno dodici di Asgard io non pensavo a te, quando hai preferito abbracciare un autocarro piuttosto che farti abbracciare da me io ho rinnovato la promessa di odiarti, quando ho avuto sotto al culo spazzatura giapponese e perfino giocattoli per bambini d'italica fattura mi sono trovato più a mio agio che non sopra la tua obesa scocca che se i tuoi produttori costruivano carri armati nel tuo deprecabile DNA ne porti ancora le tracce, quando ubriaco e solo e al freddo e al buio e su strade sconosciute di un luogo ostile tra vegetazione da tundra e lupi e fottutissimi cinghiali e il sole a picco solo su emisferi e meridiani opposti ai miei ho calcolato tra il passo appena mosso e il letto più chilometri di quanti ne contavo vedendo ottuplice su una mano ho preferito l'orrore al riaverti ai miei piedi.
E ora che c'hanno mio e nostro malgrado condannato a proseguire assieme questa disperazione finché frontale non ci separi, ti garantisco che riderò come non ho mai riso quando una pressa farà di te un cubo di un metro, quando la miseria del tuo inutile chilometraggio non sarà che un alone sul reverbero di un'eco di un evenescente e pallido flashback di un ingnorabile non ricordo da chiunque dimenticato.
Là, dove sarai inghiottita dall'oblio, dove non sarai mai esistita, dove tamquam non fuisset, dove io e te saremo e saremmo stati ai poli opposti di pianeti opposti in galassie opposte senza possibilità scientifica di entrare mai e poi mai in collisione, dove ignorarti sarà un sentimento troppo intenso e uno sforzo che nessuno sosterrà là ci sarò io.
Volevo solo un mezzo, m'hai portato la rovina. Quanto ti odio.

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