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domenica 28 novembre 2010

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E' passato un millennio e vuoi farmi credere sia stato solo un anno.
Una pausa sconfinata trasportata in un movimento che d'un tratto - e in un attimo, paradossalmente - m'ha messo di fronte a un'altra vita, costata un'infinità di secondi interminabili tanti troppi quanti ce ne stanno nel millennio che s'è travestito da moto di rivoluzione terrestre per notificarmi che la precedente non produceva più effetti. Quindi c'erano tutte le buone ragioni di questo mondo per dimenticarla. Consegnare il tutto in busta chiusa all'oblio e mandare la memoria in prescrizione. Perché la fine non è importante in tutte le cose, solo in quelle che una fine la prevedono. Per tutte le altre, comprese le storie umane, l'importo è quasi sempre solo una perdita.
Trecentosessantacinque volte ventiquattro giri sul quadrante e per tre quarti di queste una sola coppia di occhi che le conta. E prega ogni frazione di quei sessanta di lasciare succedere in fretta la successiva e giura al cospetto della bellezza infranta che se mai l'automatismo degli ingranaggi entrerà a regime questa coppia di occhi saprà guardare dove i due blu si baciano e non si volterà più indietro.
Ma qualche legame reciso, qualche cicatrice, qualche anello al dito, qualche contenitore pieno di te e qualche promessa - già, la mia promessa l'ho mantenuta - abitano ancora qualche vuoto che troppa materia perlopiù liquida e densa e graduata c'ho tuffato dentro per riempirlo ma sembra senza fondo.
Il tempo non cambia le cose. E io non dimentico. E non potertelo dire. E la tristezza di consegnarlo a un server di Mountain View. E quel qualcosa che ora so per certo non si chiuderà più mentre volto le spalle alla linea frastagliata e di nuovo tragicamente alta dell'orizzonte.

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